L’agricoltura italiana è in mani straniere. Parlano i numeri degli occupati: 362mila immigrati ovvero il 31,7% delle giornate di lavoro. Considerando l’alto sommerso che sfugge alle statistiche si può arrivare quasi alla metà dei lavoratori con passaporto straniero. L’origine? Romania, Marocco, India, Albania e Senegal. Si stima una sottorappresentazione della manodopera subsahariana.
Sono numeri e analisi che si leggono nel volume “Made in Immigritaly. Terre, colture, culture”, primo rapporto sui lavoratori immigrati nell’agroalimentare italiano. Una ricerca commissionata dal sindacato Fai-Cisl, realizzata dal centro studi Confronti e curata da Maurizio Ambrosini, Rando Devole, Paolo Naso, Claudio Paravati. Edito da Agrilavoro e Com Nuovi Tempi.
Si dimezzano (quasi) i rumeni, crescita record di senegalesi e nigeriani
Forse nuove opportunità di lavoro nella patria di origine e un ascensore sociale che funziona spiegano i forti movimenti all’interno della composizione nazionale degli immigrati. La ricerca fa emergere, nell’ordine, la presenza maggiore di queste nazionalità nei campi: Romania, Marocco, India, Albania e Senegal. “Le nazionalità dei rifugiati non compaiono nelle prime posizioni – si legge nello studio – e in generale l’Africa subsahariana è sottorappresentata”.
Se i lavoratori rumeni restano sempre in testa, cala drasticamente la loro quota. “Erano quasi 120mila nel 2016 e 78mila nel 2022; marocchini, indiani e albanesi crescono di qualche migliaio di unità: rispettivamente +7.009, +7.421 e +5.902. Sostanzialmente stabili i tunisini, passati da 12.671 a 14.071; mentre in termini relativi risulta più marcata la crescita dei senegalesi, che sono quasi raddoppiati, passando da 9.526 a 16.229 (+6.703), e molto sostenuta quella dei nigeriani, passati da 2.786 a 11.894 (+9.108). Aumentano anche i maliani, da 3.654 a 8.123, e i gambiani, da 1.493 a 7.107. Le fonti statistiche, dunque, certificano sì una crescita dell’occupazione degli immigrati subsahariani nel settore, non tale, tuttavia, da avvalorare la tesi di una sostituzione delle componenti da più tempo insediate”.
Lavoro migrante insostituibile in tutta la filiera
Lo studio certifica una situazione già ben delineata nei suoi tratti generali: la forte presenza di manodopera straniera nei campi ma anche nelle stalle e nelle fabbriche agroalimentari. Non solo mani ma anche cervelli con passaporto lungo tutta la filiera. Su questo tasto insiste Onofrio Rota, segretario generale della Fai-Cisl: “La ricerca ha il merito di rovesciare una narrazione dominante: necessarie braccia da lavoro da confinare alla subalternità.
I dati, le analisi e le storie raccolte restituiscono così uno spaccato di vita quotidiana di quei lavoratori e lavoratici di origine straniera che ogni giorno contribuiscono alla crescita del nostro Pil, con un agroalimentare italiano che nel 2023 ha superato 600 miliardi di fatturato e 64 miliardi di export”.
Sui numeri il sindacato sottolinea che non tutto emerge: “I dati istituzionali sono distorti, per l’impatto concomitante del lavoro non registrato e delle registrazioni fittizie finalizzate ad accedere ad alcuni benefici sociali; ma offrono un’indicazione orientativa per cogliere la portata del contributo dei lavoratori immigrati all’agroindustria italiana e dei problemi di tutela che devono fronteggiare”.
Fonte: MyFruit
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